Il Matese, la montagna sacra dei Sanniti, regala sempre esperienze fantastiche di cui la traversata del monte Mutria è stata la prima che ho fatto. Spaziare con lo sguardo dall’Adriatico al Tirreno, respirare aria purissima e camminare in compagnia di animali liberi. Questo è ciò di cui ho goduto durante la traversata del Mutria, sito all’interno dell’Oasi di GuardiaregiaCampochiaro, la più grande dell’Italia peninsulare e seconda in assoluto.

La storia

Il nome “Mutria“, di etimologia incerta, significa “dall’aspetto corrucciato“, “minaccioso”. Le etimologie del nome del vicino paese, Cusano Mutri, riportano una radice greca antica per “Mutri”: “tempestoso, coperto di neve“. Etimologie della lingua dei Sanniti Pentri, riporterebbero Mutri(a) a Mutilie (mutilo, monco, troncato).

Veniva considerato sacro dai Sanniti tanto che nell’area a nord sorsero vari santuari, necropoli e siti. Tra questi Sàipins, in loc. Terravecchia, primo agglomerato dell’attuale Sepino.

La natura

Il Mutria domina il settore orientale del massiccio, con una cresta che si sviluppa da ovest verso est per più di 8 chilometri. È la terza vetta del Matese ed è tra le più affascinanti. Segna il confine tra Molise e Campania e dalla vetta si dominano le valli del Tammaro ad est, del Calore Irpino a sud e del Volturno ad ovest. Dalla cima, nelle giornate nitide, si scorgono sia il mar Tirreno che il mar Adriatico, proprio quanto ho avuto la fortuna di assistere.

Il troncone occidentale affaccia sul Lago Matese (il lago carsico più alto d’Italia) e le cime della Gallinola e Miletto. Dalla sua vetta, poi, è facilissimo scorgere il Vesuvio e le isole campane.

Oltre ai panorami sono spettacolari le depressioni carsiche (doline) che in primavera si colorano per le numerose fioriture montane. D’inverno domina il bianco della neve e i boschi che conducono alla cresta diventano vere e proprie gallerie di neve oltre i quali domina l’intenso blu del terso cielo del Matese.

Flora e fauna

Flora e la fauna sono molto diversificate, più che sulle altre cime del Matese. Circondato da fittissimi boschi, alle pendici settentrionali sorgono i “Tre Frati“, faggi secolari di quasi 500 anni. I lecci, aceri e tassi delle pendici cedono il passo a imponenti faggete e queste ai prati delle groppe sommitali.

Le genziane, i gigli di S. Giovanni, l’aquilegia, la belladonna, gli anemoni i nontiscordardime e le numerose specie di orchidee selvatiche arricchiscono i prati con incredibili sfumature e non mancano fragoline di bosco, mirtilli, tartufi e funghi.

La ricca idrografia e vegetazione rendono possibile la riproduzione di numerose specie di mammiferi, dal lupo alla volpe, dal tasso al gatto selvatico allo scoiattolo. Tra i rapaci è presente l’aquila reale, oltre i più comini nibbi e poiane. Nelle faggete, poi, non è difficile incontrare esemplari di Salamandra Pezzata o della piccola e rara Salamandrina dagli Occhiali, simbolo dell’Oasi WWF.

Percorso

Prima di partire, è bene vi dica che si tratta di una traversata di circa 17 chilometri, con un dislivello di quasi 700 metri in salita e 1000 in discesa per un tempo totale, soste incluse, di dieci ore. È necessario essere muniti di scarpe da trekking, vestiario adeguato e tanta acqua. I bastoni da trekking non sono indispensabili ma comunque molto utili. Passiamo ora a vedere il percorso.

Il sentiero si stacca dal rifugio La casella (1265m), posto di guardia borbonico deputato al controllo del Passo. Ci si inoltra subito in una faggeta e si prosegue nel bosco fino a Serra di Macchia Strinata (1520m), raggiungendola in circa un’ora e mezza. Qui il sentiero esce allo scoperto e la vista si apre sulla depressione del Lago del Matese e sulle cime che vi si affacciano. Si prosegue in cresta fino all’incrocio con il sentiero proveniente da Bocca della Selva che si segue fino alla vetta del Monte Mutria (1823 m), arrivandovi in circa un’ora.

La discesa, proseguendo verso sud, inizia avendo sempre di fronte il Palumbaro, monte tanto bello quanto selvaggio. Si rientra poi nel bosco di faggi, nuovamente presenti a causa della diminuzione di altitudine. Qui si potranno trovare licheni sui loro tronchi, indice di aria pulitissima e rocce sedimentarie con tracce di fossili (calcare con gasteropodi). Ciò è possibile in quanto tali montagne, nel periodo cretacico, erano sommerse dall’acqua della Tetide. Continuando la discesa si arriva al rifugio “Tre Frati” dove sono presenti tre faggi, il più anziano dei quali pare abbia oltre cinquecento anni, e che rimandano al brigantaggio.

Insomma, una giornata nella natura incontaminata tra storia e panorami incantevoli che almeno una volta merita di essere affrontata.

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