Viaggio tra lingua e cultura croata in basso Molise

Viaggiando verso il mare, sia su una sponda che sull’altra del Biferno, tra dolci colline, è facile entrare in un altro mondo, albanese o croato nello specifico attraversando alcuni paesi. Di questi Acquaviva Collecroce (Živavoda Kruč) è uno dei tre di origine croata, insieme a San Felice del Molise (Filic) e Montemitro (Mundimitar).

Guidando lo si scorge solamente quando si è quasi arrivati, situato com’è tra le pieghe della dolce terra basso molisana. Il nome, italiano o croato, lo deve alla copiosità delle sorgenti presenti nel territorio e dal colle situato nelle vicinanze chiamato, appunto, “della Croce“.

La passeggiata tra le vie prima del nuovo agglomerato e poi del centro storico ha un unico sottofondo fatto da da tradizioni e idioma che la comunità slava ha voluto fortemente mantenere tanto che infatti, ancora oggi, si parla un dialetto croato, lo stocavo, risalente al 1400.

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Cenni storici

Esistente già nel XIII sec. vi è stata la presenza dei cavalieri dell’Ordine di Malta fino al XVIII sec.; in seguito, intorno al XV secolo, l’insediamento di popolazioni slave.

Passeggiando tra le vie del centro storico ci si può imbattere ancora in qualcuno che si esprime in croato-molisano (na-našu); si possono anche scorgere segni misteriosi come la stella a otto punte, una formula palindroma in latino e una croce dei Templari. Queste sono di difficile interpretazione ma danno adito a tesi sulla presenza dell’Ordine dei Cavalieri Templari.

Ad Acquaviva ebbero i natali il patriota Nicola Neri, giustiziato nel 1799 per essere stato un esponente della repubblica Partenopea, ed il letterato Giovanni De Rubertis, che ebbe il merito di diffondere la conoscenza delle colonie slave del Molise durante il ‘900. Opera che continua ad essere portata avanti da enti e associazioni operanti sul territorio.

Cosa vedere

Arrivati nel punto centrale di Acquaviva si scorge subito il…retro della Chiesa di Santa Maria Ester. La chiesa originaria, molto diversa dall’attuale, venne costruita dai Cavalieri di Malta verso la fine del ‘500. Nel 1715 l’edificio venne ricostruito in stile barocco ed ingrandito. All’interno è un tripudio di opere d’arte che ricordano la sua origine cavalleresca; tra queste quella di San Michele Arcangelo da attribuire a Paolo Saverio di Zinno.

Particolarità è proprio quella di volgere le spalle al visitatore e presentare la facciata rivolta verso il borgo. Questo perché, semplicemente, la piazza attuale è di realizzazione posteriore alla chiesa.

All’esterno, sotto il campanile, è conservato il cosiddetto Quadrato Magico o Palindromo del sator. Esso rappresenta motivo di curiosità soprattutto per i significati magici che vengono attribuiti alla frase che vi è scolpita: ROTAS OPERA TENET AREPO SATOR. Di questa non si conosce la provenienza, né il perché della presenza e non se ne conosce, ancora oggi, neanche l’effettivo significato.

La chiesa originaria era dotata di un antico campanile, abbattuto negli anni ’60 perché pericolante. Negli anni ’60 se ne costruì un altro in cemento armato nuovamente sostituito, nel 2013, da quello attuale costruito sulle sembianze di quello antico.

Altri monumenti di interesse sono il Monumento alla venuta dei Croati, il Portale dell’antica chiesa, l’Arco di Palazzo Cantelmo e la Casa della Corte del Sovrano Ordine dei Cavalieri di Malta.

Tradizioni e gastronomia

Tra le attività tradizionali vi sono quelle artigianali: su tutte la tessitura a mano finalizzata alla realizzazione di coperte e panni grezzi. È invece scomparso del tutto l’uso del tombolo praticato fino a pochi anni fa.

Il primo maggio si festeggia la primavera portando tra le vie il “Maj”, struttura a cono con caratteri antropomorfi ricoperta di fiori ed erbe e portata da un uomo posto al suo interno. Questa è simile ad altre manifestazioni che possiamo far ricadere nell’ambito delle “Feste di primavera“.

Le festività religiose sono legate al culto di San Michele Arcangelo i cui festeggiamenti si svolgono due volte l’anno, 29 settembre e 8 maggio.

Altro appuntamento molto sentito è il 3 febbraio, per la ricorrenza di San Biagio. In questa occasione si possono assaggiare i “Kolači”, dolci ripieni di mosto cotto. La sera della Vigilia di Natale, invece, all’entrata della chiesa viene accesa una grossa fiaccola, chiamata “Smrčka”.

Nella cultura gastronomica del paese spiccano salumi e formaggi; tra i primi la salsiccia, la ventricina e la soppressata, preparati ancora secondo i canoni dettati dalla tradizione.

Tra i piatti tipici: cavatelli con sugo di salsiccia o ventricina e lo spezzatino di carne con cacio e uova; ancora, il pane spaccato (la panunda), una pagnotta di pane tagliata a metà ripiena con peperoni pezzetti di salsiccia fritti e frittata.

Piatto tipico è il Varak, zuppa di legumi e cereali preparata in occasione della ricorrenza di San Donato, il 7 agosto. Da ricordare ancora i tagliolini al latte (Rizandze s mblikam), preparati per il giorno dell’Ascensione.

Tra i dolci i calcioni, dolci ripieni di pasta di ceci, le caragnole, fettucce di pasta composte in forma circolare fritte e cosparse di miele; oltre questi i mostaccioli, la pigna e il fiadone con la ricotta o il formaggio preparati per Pasqua.

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